La materia della pittura affiora dalle tele e lignei supporti del giovane artista Giuseppe Marinelli mentre sembra citare quel noto ritornello di Pino Pascali che invita a riflettere sulla trasformazione della natura delle cose che pur originano da una unica sostanza:
Io son come un serpente/ogni anno cambio pelle/la mia pelle non la butto/ma con essa faccio tutto/quel che ho fatto di recente/già da tempo mi repelle.
Nell’indifferenza del mondo, dominato dal cinismo e dal pensiero unico, Marinelli recupera attraverso lo studio accurato del colore e dei materiali, delle ombre e delle luci, l’identità della Pittura come tale, della sua imitatio, laddove questa sta per capacità di “ perizia”, di saper fare”, di téchne. Con un graffio asporta la materia pittorica dai supporti per far sì che la luce emerga e dia forma e volume all’esistente. Non è casuale che tra la rappresentazione del più indistinto anonimato e quella dell’Uroboro appaiano creature in pienezza di vita che si poggiano su carcasse in fattezze di pelle di serpente quando questi rinasce a se stesso cambiando l ‘epidermide.
Il pittore ogni volta che genera un’opera rinasce a stesso, porta ad esistere nuove parti di sé, come l’Uroboro, il serpente cosmico che mordendosi la coda forma un cerchio ricreandosi e ricordando a noi tutti che esiste un inizio e una fine pur nel divenire.
La pelle nomade della Pittura ci appare così quale simbolo di ricerca di un continuo rinnovamento. E’ la tentazione dell’immortalità, di quell’onnipotenza che nella valle dell’Eden colse la Madre dei viventi. Ma Giuseppe Marinelli, il cui fare pittorico appositamente si inscrive al di là di ogni omologazione citando i Maestri del Gran Secolo, sa bene che la voce seducente del serpente in noi può condurci sull’orlo dell’abisso, di quel vuoto intorno al quale Uroboro disegna un cerchio, un confine di salvezza. Di qui le ragioni del suo dipingere altri esseri viventi di cui gli uomini dovrebbero essere i custodi nel rispetto della fondamentale biodiversità.
I regni vegetale e animale si incontrano sulla madre Terra riconoscendo l’unica origine. Non c’è distanza tra l’uno e l’altro bensì una compenetrazione. Tutto vive: Empedocle, infatti, afferma che
Ogni cosa ha la sua parte e di respiro e di odori.
Non esiste artificio nel senso ingannevole che il termine può suggerire, bensì quella capacità di essere dentro le cose, nell’Anima mundi attraverso la Pittura capace di svelare nuovi paesaggi del proprio Sè, dell’Alterità in noi e fuori di noi.
Il cardellino, la gazza, la ghiandaia, il barbagianni , il pappagallo, il rospo, indicati con nomenclatura latina, animano le tele di Marinelli che a noi tutti ricordano il passato infinito del mondo che scivola verso il postumano e il macchinale senza memoria e senza identità mentre invitano a sentire il respiro del presente, l’hic et nunc, ovvero l’unico istante dell’eternità in cui tutti possiamo essere coscienti di essere nell’Uno perché nella trasformazione saremo sempre altro, se pur in un unicuum.
Nelle sue opere pertanto si percepisce il senso di una fratellanza agapica tra tutti gli esseri che abitano il pianeta, tra il mondo cosiddetto inorganico e il mondo organico in continua relazione attraverso una trama di continuità a noi misteriosa. Mondi che nelle opere di Marinelli meravigliosamente si incontrano e si disvelano generando nuovi universi. E’ questo il miracolo della Pittura e di tutte Arti.
Santa Fizzarotti Selvaggi